Chiedere aiuto è il primo passo

So che chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta non è facile. E’ l’esito di un processo che parte dal riconoscimento e dall’accettazione di avere un problema, passa per i consigli di amici e parenti, e per varie terapie “fai da te”, poi approda alla decisione: da solo non ce la faccio.

Non è una sconfitta, invece è il primo coraggioso passo di un viaggio che, attraverso la relazione, porterà a fare pace con sé stessi.

Lo so perché ci sono passata. Nessuno psicoterapeuta può fare questo lavoro se non ha provato cosa significa “stare dall’altra parte”, dalla parte del paziente.

Star male non è una colpa e non è una vergogna

In un tempo come quello attuale sembra quasi che essere felici sia un obbligo o un merito.  Siamo costantemente a contatto con volti/maschere eternamente sorridenti, costantemente appagati e sempre apparentemente felici che si affacciano dai nostri schermi.

Invece, stare male è normale ed è utile perché è il motore del cambiamento interiore.

La sofferenza psicologica fa parte del nostro essere umani, e dare legittimità al malessere è il primo passo per superarlo. Angoscia, ansia o dolore sono lì a dirci che è necessario trovare un nuovo equilibrio, a stimolarci ad affrontare un nuovo capitolo della nostra crescita personale.

E’ così fin dall’infanzia e in tutte le fasi della vita: è necessario perdere un equilibrio per trovarne un altro. E’ necessario separarsi da vecchie modalità di affrontare la vita per poter essere un po’ più liberi e sereni.

La sofferenza ha sempre un senso e affonda le sue radici nella propria storia. Gli eventi stressanti che si incontrano nella vita, lutti, nascite, separazioni, la perdita del lavoro, la pensione, malattie sono la causa scatenante che fa emergere le proprie aree di vulnerabilità personale.

Le forme che prende lo “stare male” sono uniche per ogni persona e ciascuno sta male a modo suo. Finché non si riesce a comprendere il significato del dolore psichico esso rimarrà, come una spina che continua a muoversi dentro.

Chi si può rivolgere a me

“Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” scrive Tolstoj all’inizio di “Anna Karenina”.

Le forme che prende il disagio di vivere sono tante quanti siamo tutti noi.  Ma non c’è sofferenza che non possa essere modificata quando cambia il nostro sguardo su di essa.

Possono giovarsi di un intervento terapeutico:

Le persone che soffrono di ansia, angoscia, panico.

Quando l’ansia diventa una compagna quotidiana che limita e avvelena le proprie giornate. Quando l’angoscia paralizza la mente e blocca l’azione. Quando le crisi di panico (o la paura di avere di nuovo una crisi di panico) limita il movimento e rende insicuri.

Chi soffre di insonnia e la notte diventa un lungo incubo ad occhi aperti e ricorrono a farmaci per trovare riposo.

Le persone con disturbi psicosomatici e ipocondriaci, coloro che continuano a trovare sul corpo ferite che appartengono alla psiche e continuano a cercare nella medicina rassicurazioni che non bastano mai.

Persone con problemi nel rapporto con il cibo, in cui il corpo è un oggetto da controllare o da mortificare o da riempire.

Persone tristi o depresse, quando niente, ma proprio niente, sembra avere senso, e l’energia di vivere “come tutti gli altri” sembra impossibile. Persone oppresse dal senso di inutilità o che sentono di non valere niente.

Persone che “non mi manca niente e allora perché non sono felice?”

Persone con problemi relazionali o sessuali, che non trovano un compagno/a o che continuano a cambiarlo. O che, pur all’interno di una relazione, soffrono di solitudine o gelosia.

Persone che ripetono lo stesso errore da sempre e se ci pensano bene, sanno anche perché ma non riescono a cambiare copione.

Persone che si trovano in un momento difficile della loro vita, per ricevere sostegno e incoraggiamento, o persone che sono di fronte ad una scelta o ad una svolta, per aiutarli a capire.

Persone impulsive che continuano ad agire male e non riescono a controllarsi, o persone che devono controllare tutto, parole, pensieri, azioni.  Persone che non riescono a stare sole o a liberarsi dai pensieri.

Persone che non si vogliono bene e che pensano superstiziosamente che la felicità sia un po’ pericolosa.

Persone che dipendono, da una sostanza o da una persona, e si sentono sul punto di crollare se viene meno quella “stampella”.

Penso di poterti aiutare

Quando le persone si rivolgono ad uno psicoterapeuta, spesso hanno paura di essere giudicate, etichettate o banalizzate. La prima sensazione che si incontra, invece, è che all’interno della relazione terapeutica si troverà una atmosfera non giudicante, accogliente ed empatica (senza mai essere pietistica).

Spesso le persone hanno una sensazione di vergogna, confusione e impotenza rispetto ai propri problemi: la prima comunicazione che si riceve dal terapeuta è che i propri problemi e la propria sofferenza non sono incomprensibili.  “Niente di ciò che è umano mi è estraneo” scriveva Terenzio nel 165 a.C.

In che modo può aiutare la psicoterapia

La psicoterapia porta ad una maggiore comprensione di sé stessi e del proprio mondo interno. Invita a scoprire delle “verità” su di sé. Essere consapevoli della propria storia, delle proprie motivazioni e delle circostanze della propria vita significa essere già più liberi, già fuori dalla ripetitività stretta e imprigionante delle risposte abituali.  “Conosci te stesso” era il motto dell’Oracolo di Delfi.

Ma ciò che è curativa è soprattutto la relazione, la presenza di un altro con cui stringere una alleanza e fare un pezzo di strada insieme. Essere ascoltati, guardati e capiti è un balsamo per le ferite dell’animo. Il paziente troverà nella stanza di terapia uno sguardo morbido, un ascolto attento, una comprensione emotiva e una accettazione totale, accogliente e non giudicante.

Il punto è che farà proprie, con il tempo, queste modalità di guardare, capire e accettare valorizzare sé stesso, e lì sarà il momento di concludere il lavoro insieme, perché la psicoterapia non è dipendenza, al contrario lavora in funzione dell’autonomia, del rimettere in moto risorse e energie a servizio della propria vita.

Gli obiettivi

È forse superfluo dire che il primo obiettivo della psicoterapia è l’attenuazione dei sintomi. Un certo sollievo rispetto ai sintomi più urgenti in genere arriva già con l’instaurarsi dell’alleanza terapeutica, quando la persona percepisce che la relazione con il proprio terapeuta è una base sicura e che può permettersi di avere fiducia.

Un obiettivo primario è accrescere il senso di potere personale. Quando arrivano in psicoterapia le persone sono spesso “controllate” dalla loro depressione, dalla loro angoscia, dalle loro ossessioni, o dal senso di inutilità e vuoto. La psicoterapia agisce perché la persona recuperi il senso di essere il capitano della propria nave, protagonista della propria vita, affinché ritrovi fiducia nei propri pensieri e nelle proprie emozioni e si basi su questi per fare le proprie scelte. Così il senso di identità personale risulta rafforzato e consolidato in un modo realistico. Questo permette di tollerare di poter vedere i propri errori e le proprie modalità autosabotanti, e la responsabilità degli insuccessi non sarà più attribuita agli altri, ma a sé stessi, primo ineludibile passo per poter cambiare quello che non ci piace.  Freud ha detto (1933) che l’obiettivo della psicoanalisi è il raggiungimento della capacità di amare e lavorare. Rimane valido e centrale. Nello stesso momento in cui si impara ad accettare sé stessi e la propria complessità, si impara anche ad accettare anche la complessità, i difetti e le debolezze dell’altro, donandosi la possibilità di amare ed essere amati, di conoscere l’altro veramente e di farsi conoscere e di stabilire una relazione intima soddisfacente.

La capacità di lavorare significa poter mettere creatività nel proprio lavoro, risolvere i problemi in modo realistico, assumersi responsabilità senza la paura di sbagliare.

Perché scegliere la Psicoterapia orientata alla Psicoanalisi

Lo psicoterapeuta psicoanalitico non è più un ascoltatore muto, un po’ freddo e neutrale (ancora troppo spesso purtroppo circola questa etichetta!). E’ un essere umano che interagisce e parla e si mette in gioco nella relazione con il paziente. A differenza di altri orientamenti però, il terapeuta psicoanalitico non suppone di sapere tutto sulla persona che ha davanti, anzi, parte dalla consapevolezza di non sapere.  Non dà consigli o addestramenti, non dice cosa fare, non cerca obbedienza,  non utilizza il potere derivato dall’idealizzazione o dall’autorità che il ruolo gli concede. Non “normalizza”, non vuole che i pazienti diventino “bravi bambini” adattati alle esigenze della società o della famiglia.

Promuove invece il pensiero libero, si rivolge ad un paziente che è sempre Soggetto, di cui rispetta profondamente l’autonomia e la responsabilità. Non promette cure miracolose o la felicità, ma si impegna in una relazione in cui tutto mira alla ricerca del senso delle azioni, pensieri emozioni della persona che ha davanti. Offre un ascolto delle profondità del Sé, si sintonizza con le zone più fragili e antiche e oscure di ciascuno, per lenire le ferite che fanno ancora male, per aiutare a pacificarsi, a narrare la propria storia e fare spazio ad un presente libero dall’ombra del passato.